In questo video, l’amico Andrea Tonacchera spiega in uno stile un po’ vecchio il concetto nuovo che, al giorno d’oggi, se vuoi fare lead generation, cioè acquisire nuovi clienti, devi usare la SEO e la SEM per seminare in rete delle buone pagine web, che come alberi crescano (quasi) da soli fino ad avere grandi fronde, per attirare “naturalmente” sotto la loro ombra viandanti (leggi clienti) accecati dal sole (leggi offerte estemporanee) e interessatissimi all'”offerta permanente“.
P.S. In realtà, il suo metodo parla quasi di cicli automatizzati di direct email marketing. Secondo me sbaglia (o almeno, è una delle tante cose che devi fare in ogni caso, come sottocaso della SEM), comunque prendi l’incipit del suo video come oro colato e sostituisci tutto quello che segue con SEO e SEM.
Autore: Johnny T. è sviluppatore full-stack, seo, copywriter e specialista in marketing web. In aggiunta a creare interfacce user-friendly come spediamo.it e smartfix.it ed a lanciare progetti come la segretaria virtuale, Johnny si diverte a leggere libri eccezionali e a pensare di avere ancora del tempo libero. Contattalo su LinkedIn.
Alcune riflessioni di questa settimana, riprendendo le parole di Nicola Mattina su Facebook e Alessandro Longo sull’Espresso.
L’idea che passa in Italia è che sei hai un’idea puoi fare una startup. Per quali motivi?
Il carro innovazione tira e le grandi aziende sono salite (Telecom nel 2009 con Working Capital, poi Wind, banche, Enel, ecc.)
L’Unione Europea finanzia l’innovazione e questo favorisce il proliferare delle iniziative pubbliche (è tutto in mano ai burocrati delle regioni).
Incauti investitori hanno copiato i modelli di Y Combinator, Techstars o 500 Startups, organizzando hackathon, startup weekend e programmi di accelerazione (salvo scoprire che in Italia non c’è exit perché non ci sono compratori, e senza mercato delle acquisizioni aziendali, manca un pezzo del modello di business degli acceleratori).
Le università si sono lanciate a creare incubatori, ma ce ne sono due senza un rosso in bilancio?
Blogger e giornalisti hanno scritto storie fantasiose il cui incipit invariabilmente è: un ragazzo italiano ha appena fondato la startup che fa paura a Zuckerberg (ti ricordi la bufola di Egomnia?). I giornalisti italiani che se ne intendono veramente si contano sulle dita e sono cauti, ma a chi importa?
È ora di archiviare questa narrativa, perché non si tratta di idee e startup, ma di prodotti e imprese. Fare un prodotto e costruirci attorno un’impresa è una cosa dura e difficile che richiede anni di dedizione e sacrifici. Molto poco di questo ha a che fare con quello che ti raccontano in Italia sull’argomento.
Vuoi numeri?
Per ora, le startup bruciano 68 milioni l’anno.
Non ci credi?
Eppure, è quello che dice Infocamere, che in settembre ha censito 4.704 nuove aziende caratterizzate da un’attività tecnologicamente innovativa. Sono aumentate di 456 unità rispetto a Giugno e danno lavoro a 22 mila persone, di cui 4.891 dipendenti. Le perdite operative, però, sommano a 68 milioni l’anno, per cui è presto per parlare di loro contributo alla crescita… Leggi anche cosa dice l’ottimo Alessandro Palmisano: il 50% delle startup non arriva a 25mila euro di ricavi, cioè non copre quasi le spese di ufficio, utenze (luce, adsl, tel) e commercialista, l’altra metà fattura quanto un piccolo negozio di alimentari in provincia.
Di sicuro, non seguono i consigli di Paul Graham (cofondatore di YCombinator).
P.S.
Nonostante i progressi negli investimenti (per i ritorni ci sarà tempo), l’Italia è comunque in ritardo: nel 2015 gli investimenti in startup saranno di 133 milioni, secondo gli osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano; in Spagna sono il doppio, dieci volte di più in Germania e Francia. “Le startup sembrano ancora non integrate nel nostro tessuto industriale” dice Antonio Ghezzi, del Politecnico, “ma vediamo i primi promettenti esempi di collaborazione con aziende consolidate. Infatti vanno meglio quelle che fanno leva sul made in Italy”.
Autore: Johnny T. è sviluppatore full-stack, seo, copywriter e specialista in marketing web. In aggiunta a creare interfacce user-friendly come spediamo.it e smartfix.it ed a lanciare progetti come la segretaria virtuale, Johnny si diverte a leggere libri eccezionali e a pensare di avere ancora del tempo libero. Contattalo su LinkedIn.
Sabato scorso (21 Nov 2015), sono stato al Traders’ Tour di Padova della rivista TRADERS.
Non so se mastichi analisi fondamentale e tecnica, comunque l’evento è solo un pretesto per parlare della tua visibilità web.
Molti ospiti:
Michael Zanon, del centro ricerche DiamanTech, ha parlato degli indici che guardi quando compri in Borsa, cioè performance volatilità sharp e markowitz, e di come è meglio se usi il loro software exAnte e le probabilità condizionate;
Gianluigi Cesanoha raccontato di come il suo Studio G2C (Torino) usa spunti di macroeconomia per consigliare ai clienti di entrare o uscire (a proposito, se lo vuoi come consulente, prende o una fee o lo 0.8% del patrimonio gestito, contro le commissioni 5 volte tanto dei normali fondi);
Paolo Dal Negro ha publicizzato i certificates a leva fissa (7) di casa Unicredit;
Andrea Veller, Federazione Veneta delle Banche di Credito cooperativo, ha preso le distanze dalle spinte speculative di Unicredit, per dire che la MiFID 2 obbliga le banche a non incoraggiare strumenti finanziari complessi ma, piuttosto, scelte tranquille come obbligazioni, fondi tradizionali con cedola, ecc.;
Ida Pagnottella mi ha regalato chicche sulle correlazioni inusuali fra strumenti di investimento (e.s. pensi che le obbligazioni facciano davvero curve diverse dalle azioni?), utili per una composizione intelligente del portfolio;
Emilio Tomasini, simpaticissimo, mi ha ricordato come l'analisi fondamentale seleziona solo una lista di azioni su cui, però, è poi l'analisi tecnica che deve dire se è opportuno entrare (ci sono purtroppo incredibili società a sconto ormai da 10 anni);
Prof ospitante;
Riccardo Guidi, trader Forex, ha delineato l'attività quotidiana del trader: entrare, uscire, entrare, guadagnare, alzare lo stop loss, uscire o guadagnare, alzare di nuovo lo stop loss... insomma, come ti guadagni lo stipendio perdendo il 60% o più delle operazioni;
Fabrizio Bocca gli ha fatto da contrappunto con il trading sistematico.
C'erano altri due ospiti, ma alle ore 18 ero fuso...
Ora, ti confesso che non ho scritto questo post per consigliarti un investimento. In velocità, hai a disposizione Conti deposito, Titoli di stato, Obbligazioni, Assicurazioni, Azioni, Opzioni, futures, CW e Certificate, ETF ed ETC, Fondi: metti i tuoi soldi dove vuoi ma stai sui mercati regolamentati 🙂
Quello che mi interessava dirti è, invece, questo:
Saper fare un’analisi SEO in 15 minuti (oggetto del prossimo post) è vitale per il tuo business.
Sì, è fondamentale che anche tu la sappia fare, per capire a che punto è la visibilità web del tuo sito ma, soprattutto, quella dei tuoi concorrenti, specie quelli bravi, che devi imitare, se vuoi scalare le classifiche su Google.
Per esempio, se sei un consulente finanziario indipendente e vuoi incrementare la clientela, vai agli eventi organizzati e cerca di capire qual è il profilo che più ti somiglia.
Se, per esempio, è proprio l’ospite di sabato, Gianluigi Cesano, fatti un’analisi SEO veloce del suo sito www.g2c.it
Quella che segue è solo una bozza di analisi SEO, giusto per ragionarci sù.
1. Sommario fattori on pageTitle non è in focus e Description è assente!La grammatica non in focus e la densità non è sufficiente!2. Sommario fattori off page.
I siti che ne parlano sono ancora pochi, anche se provengono dalla nicchia giusta.
Ma guarda quali sono le stime di traffico potenziale per la clientela cercata e dichiarata nel tag Title.
Ogni giorno, 131 cercano su Google “consulenza finanziaria indipendente“.
Meglio ancora, se tu puntassi a “consulenza finanziaria“.
Ma qual è il posizionamento attuale del sito di G. Cesano su Google?
g2c.it è in 3° pagina per “consulenza finanziaria indipendente“
La 3° pagina non è neanche male, ma con sole 131 ricerche, è troppo poco.
Direi che c’è parecchio potenziale inespresso a portata di mano…
Significa che forse G. Cesaro non ha bisogno di clienti o, se ce l’ha, se li procura offline con il passa parola, come – d’altra parte – ha fatto trapelare all’evento di sabato (ha iniziato con i suoi soldi e, solo a un certo punto, ha preso in carico altri patrimoni).
Ma significa anche che se anche tu sei un consulente finanziario, beh, di strada su Internet ne puoi fare parecchia 🙂
Autore: Johnny T. è sviluppatore full-stack, seo, copywriter e specialista in marketing web. In aggiunta a creare interfacce user-friendly come spediamo.it e smartfix.it ed a lanciare progetti come la segretaria virtuale, Johnny si diverte a leggere libri eccezionali e a pensare di avere ancora del tempo libero. Contattalo su LinkedIn.
L’intro di Riccardo Luna e Massimo Banzi di Arduino non parla tanto di stampanti 3D, robot e sensori in catena di montaggio (tema e misure del rapporto) quanto della nuova cultura digitale da abbracciare fatta di open-source, crowdsourcing, big data e analitycs.
PERÒ i grafici del rapporto inseriscono solo 4 tecnologie: stampa 3D e 3D scanning, robotica, macchine a controllo numerico (CNC), laser e altri sistemi di taglio supportati dal computer. Di nuovo effettivamente c’è solo la stampante 3D 😦
Ora, faccio finta di dimenticarmi che il rapporto è dedicato all’industria manifatturiera (2.6M di addetti) e non agli altri settori (14M), che ha come campione il 10% delle imprese, e come le sue metriche sono distribuite per settore (sistema moda, legno e mobilio, gomma e plastica, metallurgia e prodotti in metallo, macchine e mezzi di trasporto, altro), tipologia di Made in Italy (di consumo e tecnologico), fatturato, area geografica e fornitore.
Faccio solo qualche osservazione di aggregato:
Solo il 18.6% delle imprese non usa nessuna delle quattro tecnologie. Mi sembra incoraggiante 🙂
Si parla praticamente zero di internet delle cose 😦
Se di nuovo c’è solo la stampante 3D, solo il 30% delle imprese che la usa dice che l’adozione ha prodotto un impatto significativo, quasi la metà dichiara un impatto limitato 😦
Se nell’intro Riccardo Luna vuol comunicare che all’hardware ora manca il software di creativi e coder italiani, bisogna purtroppo ricordare proprio i sondaggi del rapporto:
Riccardo, tu dici che Maker e Fab Lab daranno la scossa all’industria italiana, e vorrei tanto crederti, ma l’interesse dov’è? 😦
Anche il PDF di Fondazione NordEst finisce per dire che le potenzialità dei Fab Lab sono ancora da esplorare e da sviluppare nella loro relazione con le imprese manifatturiere. Cmq se valore aggiunto, ROS (reddittività delel vendite) e ROI (reddittività operativa) sono più alti nel tessuto manifatturiero Made in Italy che innova con tecnologie digitali (solo il 3% in più?), speriamo che arrivino anche le 39k assunzioni all’anno previste. Con 8k comuni in Italia, non sembrano molte… Che ne pensate voi?
P.S. A chi invece interessava cmq i dati singoli: il 25.8% delle imprese usa stampa 3D o 3D scanning (gioielli, dentale), il 36.7% usa la robotica (metallurgia, macchine e mezzi di trasporto), il 67.7% usa le macchine a controllo numerico (legno e mobilio, metallurgia), il 48.3% usa il laser (macchine e mezzi di trasporto, altro).
Autore: Johnny T. è sviluppatore full-stack, seo, copywriter e specialista in marketing web. In aggiunta a creare interfacce user-friendly come spediamo.it e smartfix.it ed a lanciare progetti come la segretaria virtuale, Johnny si diverte a leggere libri eccezionali e a pensare di avere ancora del tempo libero. Contattalo su LinkedIn.