Archivio mensile:gennaio 2016

Professionisti, i nuovi precari laureati

L’articolo de Il fatto Quotidiano di oggi parla di voi professionisti e di come le paghe sono ormai da operai, quasi senza nessuna sicurezza. Titoli che un tempo venivano invidiati da tutti, oggi garantiscono a stento la sopravvivenza.

Secondo i dato dell’Associazione degli enti previdenziali privati (Adepp), negli ultimi 5 anni, gli avvocati hanno perso il 21% del proprio reddito, seguiti da infermieri (-19%) e giornalisti (-12%). Allargando lo sguardo agli ultimi 10 anni, la classifica degli impoveriti vede in testa i notai (-38%), poi i biologi, avvocati (-23%), i consulenti del lavoro (-21%) e gli architetti (-17%).

Sempre meno soldi, dunque, e sempre meno tutele. A mancare, su tutte, è la malattia, soprattutto in caso di patologia grave. Secondo il rapporto “Vita da professionisti” dell’associazione Bruno Trentin, solo il 7.6% degli autonomi dichiara di non avere problemi di salute dovuti al lavoro mentre due professionisti su tre soffrono di stress, ansia, depressione, insonnia. C’è poco da stupirsi: il 44.5% del campione spiega di avere un sovraccarico di lavoro che eccede le 40 ore settimanali.

  • Così, da 6 anni, Alessia (35 anni di Roma, una figlia piccola e un’altra in arrivo) fa la collaboratrice autonoma non per scelta in uno studio di architettura attivo nel campo dell’edilizia e guadagna 8-900€ netti al mese. Con il marito, paga l’affitto, magari rinunciando alle vacanze, e chiedendo aiuto ai genitori per fare la spesa e comprare qualcosa. Alessia pensa che forse non potrà mai fare l’architetto, dovesse fare la cassiera – con un contratto – la farebbe.
  • Così, Mario S., giovane avvocato sotto i 40 e non d’esperienza, non arriva a mettere insieme 1000€ al mese perchè non ha il tempo di strutturare uno studio, farsi apprezzare e costruirsi una rete di clienti. Se nel 1987 aveva 48mila colleghi (leggi concorrenti), oggi ne ha 240mila, uno ogni 270 cittadini e 27 per ogni giudice. È la saturazione, ma le facoltà di giurisprudenza sfornano 1000 aspiranti l’anno, e almeno 50-60mila lavorano in una gabbia di precariato senza fine che spesso termina solo con la toga appesa al chiodo (l’anno scorso 8mila hanno detto addio alla professione cancellandosi dagli elenchi dell’ordine). Così, Stefano R., titolare a partita Iva, è disposto a tutto per avere un mandato, a improvvisarsi e perfino blandire il cliente instradandolo in cause senza speranza, vista anche la congestione del sistema giudiziario, pur sapendo che peggiorerà la sua situazione, lo stato stesso della giustizia e la percezione della figura dell’avvocato.
  • Così, Daniela Fregosi (48 anni), consulente freelance in formazione aziendale, ha scoperto nell’estate del 2013 di avere un carcinoma infiltrante al seno e il suo primo pensiero è stato all’agenda con gli appuntamenti di lavoro che sarebbero saltati. “A dicembre, il commercialista mi ha chiesto l’acconto dei contributi Inps. Quando un lavoratore autonomo si ammala, invece di essere rincorso dai medici, sei rincorso da Equitalia“. E non si può fare neanche affidamento sull’indennità di malattia. “Ho percepito solo 13€ al giorno, per 8 settimane, mentre ho fatto 8 mesi di terapia. A livello economico, ho chiesto aiuto alla mia famiglia. Mi chiedo cosa possa fare chi non può contare su genitori pensionati”. Daniela ha intrapreso la strada dello sciopero contributivo, congelando i contributi fino a quando, piano piano, ha ripreso a lavorare. Ha aperto un blog come Afrodite K e ha lanciato, insieme all’associazione Acta freelance, una petizione che ha superato le 86mila firme per chiedere al governo più tutele per i professionisti in stato di malattia grave.
  • Così, Stefano G. (34 anni, Novara) prende da 2 anni la pressione agli anziani, prescrive pillole e compila cartelle in una clinica privata. “Ho studiato per niente. Non era per fare questo che i miei genitori mi hanno mantenuto tra grandi sforzi altri 5 anni e io, per ricambiarli, ho studiato sodo per specializzarmi”. Ma gli ottimi voti non bastano e Stefano, cardiochirurgo, sbarca il lunario come guardia medica a partita Iva. Prende 16€ nette l’ora, poco più di una donna delle pulizie che lavora in nero. A fine mese fanno 1.200-1400€. “I turni sono di 12 ore durante la settimana, dalle 20 alle 8, nel fine settimana si comincia alle 10 del sabato e si stacca alle 8 del lunedì mattina. Si lavora anche per 24 ore di seguito, ma che devo fare? Esercitare in ambiente ospedaliero è impossibile: non c’è posto”. Ma non oggi, da qui ai prossimi dieci anni.
Nel frattempo, nel suo rapporto Italia 2016, l’Eurispes stima che il Pil Sommerso sia almeno 540 miliardi (tasse evase del 50%), cioè un terzo del Pil ufficiale di circa €1500b. Il dato sul sommerso è molto più alto di tutti gli studi recenti: sia l’Istat sia altri istituti di ricerca (come l’associazione Bruno Trentin) valutava l’economia “sconosciuta” sui 250 miliardi circa. L’Eurispes parla di sommerso ed evasione fiscale come veri e propri fenomeni di massa, in cui trova terreno fertile il lavoro nero. Secondo gli italiani, rileva il rapporto, le categorie che più spesso lavorano senza contratto sono le baby sitter (80% dei casi), gli insegnanti di ripetizione (78.7%) e i collaboratori domestici (72.5%). Seguono badanti, giardinieri, muratori, idraulici, elettricisti, falegnami e, con una percentuale del 50%, i medici specialisti. Nel corso del 2015, ha accettato un lavoro senza contratto il 28.1% degli intervistati, contro il 18.6% dell’anno precedente.
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Altri dati di contorno:

  • Secondo il Consiglio nazionale degli architetti, i laureandi sono crollati del 51% nel periodo 2009-2014. Nel 2013, un architetto doveva aspettare in media 172 giorni per farsi pagare da un’impresa, 217 da una pubblica amministrazione, un trend in continua ascesa. E per uscire da questa spirale in molti si sono rivolti alle banche: nel Nord Italia, il 57% degli architetti ha debiti con istituti di credito, società finanziarie o fornitori.
  • L’Associazione giovani avvocati ha fatto un’indagine su 500 collaboratori di studio a Maggio scorso rilevando che in realtà sono dei dipendenti mascherati da liberi professionisti: 10 ore di lavoro al giorno, l’80% senza contratto. Per non parlare di praticanti e tirocinanti sfruttati da piccoli e grandi studi legali in cambio di 200-300€ al mese, se va bene, senza alcuna forma di previdenza e tutela.
  • La categoria Medici ha in realtà accresciuto del 7.1% il reddito reale. Anche se personalmente penso che se la passino bene, loro dicono che il dato non deve ingannare: anche nel pubblico, infatti, sta avanzando il precariato, e succede ad esempio con i medici legali dell’Inps che si occupano di accertamento e revisione dell’invalidità civile. I medici strutturati, assunti dall’ente e da impiegare per questa mansione, ormai sono pochi e da tempo si ricorre a personale esterno, sempre specializzato ma precario. Sono un migliaio di specialisti in tutta Italia e sulle loro spalle portano responsabilità enormi, sia nei confronti dei lavoratori e dei malati e sia delle casse pubbliche. E tuttavia sono proprio le figure in assoluto più precarie della sanità pubblica. Vengono ingaggiati con contratti a termine di anno in anno. Non hanno ferie, malattia, contributi e buoni pasto. Compenso 25.84€ lordi l’ora, cui vanno sottratti il 20% di ritenuta e il 12% di cassa mutua Enpam. Ingaggio per 25 ore a settimana. Fanno 15€ netti l’ora e 1500€ al mese. Beh, ripeto: personalmente ritengo che per poche ore non è male. I medici se la passano bene, dài… sono le altre categorie ad essere messe male…

 

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accelerazione e alienazione

Stress da innovazione

Visto che un pò tutti state tornando dalle ferie natalizie (ma godetevi l’ultimo weekend, quì ci pensa la segretaria virtuale a sostituirvi), questa volta vi abbiamo scritto un pezzo su questa smania di iper-produttività che sembra averci contagiato tutti. Sperando che, così, prenderete questo 2016 in maniera più rilassata. 🙂

Tutti conoscete la parola “accelerazione”; ne facciamo esperienza ogni giorno. Tutto accelera attorno a noi. Anche noi stessi. Chi si ferma è perduto. Correre, correre, correre: questa sembra la parola d’ordine che governa la nostra vita quotidiana.

Accelerazione e alienazione” (Einaudi) di Hartmurt Rosa ci aiuta a ragionare su cosa è accaduto nell’uso del tempo, il bene più prezioso che abbiamo, e di cui siamo sempre più avari.

Tre sarebbero, per Rosa, le accelerazioni cui siamo sottoposti.

La 1° di tipo tecnologico riguarda l’introduzione dei PC e di Internet. La velocità nei mezzi di trasporto, merci e passeggeri – si pensi al cambiamento dovuto ai treni ad alta velocità – è cresciuta del 10 elevato alla 2° potenza, mentre quella delle informazioni ha come indice di potenza 6. Paul Virilio parla di “dromologia. L’effetto è che il tempo domina sempre più lo spazio, che invece si contrae per effetto dell’accelerazione progressiva dei mezzi di trasporto e della velocità di scambio delle informazioni. Non siamo ancora al teletrasporto, ma qualcosa del genere: pur restando fisicamente fermi, siamo virtualmente in movimento.

La 2° accelerazione riguarda i i mutamenti sociali. Assistiamo ad una continua contrazione del presente, conseguenza dei ritmi sempre crescenti dell’innovazione culturale e sociale. Non a caso la parola “innovazione” è uno dei veri miti di oggi. In cosa consiste l’accelerazione sociale? Nella costante decadenza di affidabilità delle esperienze e aspettative e insomma nella contrazione di quello spazio temporale che chiamiamo “presente“. Niente è più stabile e duraturo. Basta verificare i mutamenti d’indirizzo e recapiti telefonici, email, orari di apertura e chiusura degli esercizi commerciali, rate da pagare, mutui, ma anche la popolarità dei personaggi televisivi, dei partiti, dei politici, oltre che le relazioni di amicizia o il posto di lavoro. Nessuno terminerà di lavorare nella stessa azienda dove ha cominciato, che si tratti di semplici impiegati o di grandi manager. Quello che più colpisce è l’accelerazione stessa del ritmo di vita, fatto tangibile. Se paragoniamo le cose che facciamo in una giornata a quelle che facevano i nostri genitori o nonni nello stesso arco di tempo, la differenza è rilevante.

La rivoluzione digitale ha accelerato tutto. Si mangia sempre più in fretta e si dorme sempre meno. Lo studioso americano d’arte e di cultura visiva Jonathan Crary sostiene, nel suo recente volume “24/7” (Einaudi), che l’ultimo assalto del turbocapitalismo ha come obiettivo il sonno: farci dormire sempre meno per mettere a valore il tempo stesso, un altro terreno di conquista. La differenza tra tempo di lavoro e tempo libero non esiste più grazie a PC, smartphone e tablet. Lavoriamo sempre, o quasi. Rosa sostiene che il vero motore di tutto questo sia la competizione sociale. Risparmiare tempo a tutti i livelli, a partire da quello produttivo, diventa un modo per spendere meno e per essere più competitivi. La circolazione sempre più vorticosa del denaro prodotta dal capitalismo finanziario, si applica a tutti gli scambi monetari e materiali: essere sempre più celeri è il modo sicuro per produrre sempre maggior profitto.

Il tempo è astratto dagli individui, da tutti noi. Lavoriamo anche quando non lo sappiamo: quando carichiamo delle foto sulla nostra pagina Facebook valorizziamo l’azienda che lo ha inventato e diffuso. Sarebbe la competizione, motore sociale per eccellenza, a spingere ad una sempre maggiore velocizzazione dei processi. Noi tutti dobbiamo continuamente rinegoziare la nostra posizione lavorativa o economica. Dal momento che il principio determinante della competizione è la “prestazione”, diventa evidente che si cerca di fare di più in sempre meno tempo; la prestazione è per definizione “lavoro compiuto nell’unità di tempo”. Ma non c’è solo questo: a guidare i nostri comportamenti è la necessità di “valorizzare” la vita in tutte le sue forme. Dato che la religione cristiana con la sua promessa di vita eterna ha perso la sua presa a causa della secolarizzazione, oggi si pone l’accento sulla vita prima della morte. Che siano o no credenti, in Occidente, gli individui hanno valorizzato la vita in ogni sua forma. Una vita ricca di esperienze, da gustare in tutte le sue forme e aspetti, bassi o sublimi che siano. Questa appare oggi come l’aspirazione principale dell’uomo moderno, dice Rosa. L’accelerazione diventa perciò la conseguenza di questo: vogliamo vivere sempre più cose, o sempre più vite in una sola; realizzare tutte le potenzialità implicite nelle nostre esistenze. Questa è anche la risposta che cerchiamo di dare al problema della finitezza e della morte. La vita eterna è solo quella che riusciamo a vivere quì. Secondo il sociologo tedesco, l’accelerazione sociale che ne risulta non ha più bisogno di motori esterni: è un sistema che si autoalimenta da sè.

Non si tratta solo di un problema individuale o sociale, ma anche politico, dal momento che lo scopo dei politici è quello di mantenere le singole società o paesi competitivi rispetto agli altri, e la politica, arte della mediazione, è messa in crisi dalla necessità di decidere in tempi brevissimi. I politici stessi sono presi nel gioco dell’accelerazione progressiva: fanno sempre più promesse, spesso inverificabili. La lista delle cose da fare, che compiliamo ogni giorno, non è solo un problema nostro, ma anche della cosiddetta agenda politica. Abbiamo sempre di più (cose, oggetti, strumenti, conoscenze, ecc.) ma non ce la facciamo a tener dietro a tutto. Un senso di frustrazione, un nervosismo continuo, una nevrosi dilagante, ci assedia ogni giorno. Siamo sempre più alienati.

Abbiamo estrapolato e semplificato il contenuto che hai letto fin quì da un bell’articolo di Marco Belpoliti.

Lo scrittore non ha soluzioni da dare, ma siamo sicuri che tu ti sia riconosciuto abbastanza (professionalmente parlando).

Il solo consiglio che abbiamo da darti è questo: se il tuo business va a gonfie vele, rendi subito la tua comunicazione verso i clienti asincrona ed in un solo verso (tu verso loro!). Ne guadagnerà il tuo stato di salute e la tua produttività. Se sei un avvocato o un medico, sai di cosa parliamo: farsi interrompere continuamente il lavoro da telefonate che in fin dei conti non sono urgenti, è inutile, anzi controproducente. Meglio prenderle in carico quando lo reputi opportuno o se sono veramente di vita o di morte.

Ma, nel frattempo, come fai ad accogliere i tuoi clienti al meglio ed a farli sentire protetti e accuditi? Semplice, fai rispondere al tuo assistente virtuale 🙂

 

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